Le testimonianze relative al consumo di carne di maiale da parte delle popola- zioni lucane, almeno dal VII secolo a. C., sono numerose. In diversi siti e in alcu- ne tombe di epoca pre-romana, infatti, sono stati rinvenuti resti del “nobile” animale. Ma per una documentazione scritta sull’argomento ed, in particola- re, sugli insaccati lucani bisogna aspet- tare Marco Terenzio Marrone (116-27 a. C.) che nel ricostruire la storia eti- mologica della lingua italiana, tratta, ovviamente, anche dei termini relativi alla carne degli animali domestici e in particolare di quella suina, spiegando che il termine “Insicia” (Salsiccia) deriva da “Insecta”, che significa “tagliuzzare”, concludendone, il significato di salsic- cia è “carne tritata”.
Tra le diverse varietà di salsicce cono- sciute a Roma, Varrone evidenzia par- ticolarmente quella lucana, nota per la sua bontà, spiegando che è “quella fatta con l’intestino crasso del maiale” e che fu chiamata Lucanica dai soldati romani che avevano importato le mo- dalità di confezionamento della stessa, soggiornando in quella provincia.
La Lucanica doveva essere veramen- te prelibata se negli stessi anni anche Marco Tullio Cicerone (106-43 a. C.) nella IX delle Lettere Familiari, scriveva, con nostalgia: “Solebam antea delictari aleis et Lucanicis tui” (Una volta solevo gustare le tue olive e le tue Lucaniche), dove Lucanica sta per salsiccia di maia- le per antonomasia.
Anche Marziale (40-120 d. C.) più di un secolo più tardi, sottolineava con iro- nia, in uno dei suoi Epigrammi:
“Gli ultimi Saturnali/ han fatto ricco Sabello/ lui giustamente n’è fiero/e ri- tiene e proclama/ tra i Legulei nessuno avere più sghei./ Tanto orgoglio gli è ispirato/ da mezzo moggio di frumen- to/ e di fave schiacciate/ tre mezze li-
bre d’incenzo e pepe,/ salsicce lucane con trippa fallisca./ Una bottiglia di vino bollito,/ un vaso di fichi canditi,/ cipolle, lumacne e un po’ di cacio (M. V. MARZIALE. Epigrammi. Versione di G. Veronetti, con un saggio di C. Mar- chesi. Torino: Einaudi,1964 L. IV. 46, pp. 262-265).
Ma la più antica ricetta la dobbiamo a quella buona forchetta di Apicio Celio ( I sec. d. C.)
Lucanirum confectio: teritur piper, cu- minum, satureia, ruta, petroselinum, condimentum, bacce lauri, liquamen et admiscetur pulpa bene tunsa, ita ut denuo bene cum ipso sbtrito fri- getur, cum liquamine admixto, pipera integro et abuntanti pinquedine et nucleis inicies in intestinum perquam tenuatim productum et sic ad fumum suspendtur.
Confezionamento della Lucanica: si trita il pepe, il cumino, la santoreggia, la ruta, il prezzemolo, le spezie dolci, alcune caccole d’alloro e la salsa, si me- scola il tutto con polpa sminuzzata, si pesta, di nuovo, il composto con la sal- sa, il pepe intero, molto grasso e pinoli, si insacca in budello allungandolo per quanto è possibile, poi si sospende al fumo (C. APICIO. La cucina dell’antica Roma. A cura di Clotilde Vesco. Roma: Newton, 1994, pp. 22-23).
La ricetta in alcune parti del territorio è ancora, se non la stessa, molto simile, anche se la frettolosa società moder- na tende sempre più a semplificare e a velocizzare i processi di confeziona- mento, rischiando di far perdere alla Basilicata un tale prezioso primato. Associazione Culturale “L’Arco”